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Le vie di accesso e di discesa
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Da San Lorenzo in Banale al rif.
Silvio Agostini (sent. SAT
n. 325)
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L'itinerario qui descritto - che non presenta difficoltà di
sorta - percorre l'intera Val d'Ambiez: tempo medio di percorrenza a
piedi: ore 4 - 4,30.
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Appena oltrepassata la Chiesa Parrocchiale di San
Lorenzo si abbandona la S.S. n. 241 e si imbocca la carrozzabile che
conduce alle frazioni di Pergnano e di Senaso (da notare, sulla destra,
prima la chiesetta di S. Rocco e poi quella di S. Matteo, patrono il
primo di Pergnano ed il secondo di Senaso). Oltrepassata la frazione di
Senaso (1), su strada ora polverosa, si attraversano prati e campi
pianeggianti sino a dove comincia il bosco. Lasciata sulla sinistra la
mulattiera che porta a Déngolo, masi di Jon e malga Àsbelz si giunge
in breve a Baésa (m. 903) -circa 3 km. dal bivio sulla S.S.-
Sino a Baésa la carrozzabile è percorribile da
qualunque tipo di autoveicolo. Dopo Baésa occorre eventualmente
affidarsi ai mezzi fuoristrada.
1) La frazione di Senaso (m. 781) conserva ancora
sufficientemente intatte le caratteristiche architettoniche dei
tradizionali, antichi agglomerati abitativi. Il toponimo
"Senaso" è nome personale di origine celtica (v. Senàcos,
Sénoch, Henócus).
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Seguendo per breve tratto la mulattiera che porta verso
i masi di Déngolo e di Jon e malga Asbelz, s'incrocia sulla sinistra il
sentiero che sale da Doláso (frazione di San Lorenzo). Pochi metri dopo
si stacca -sulla destra- la vecchia mulattiera per la Val d'Ambiéz
(infatti la carrozzabile che oggi viene percorsa fu realizzata in
occasione della esecuzione dei lavori idroelettrici della zona).
All'incrocio trovasi un antico capitello. Proseguendo ancora si giunge
in breve al ponte di Baésa (pont de Baésa). In questo tratto la
mulattiera è pianeggiante; dopo il ponte diventa ripida e faticosa. Il
toponimo "baésa" pare derivare dall'espressione celta "afsia"
o "aésa" con il significato di posto di riposo, di ristoro o
- più in gene-rale - tratto di strada agevole non faticoso. L'antico
capitello sopraccitato porta una interessante iscrizione: "1855 -
Antonio Rigotti, Sborz - di Doláso, fece rinnovare la memoria del
caputelo de Baésa per il morbo colera (1534)". Ed in effetti nel
1534 le Giudicarle furono colpite da una gravissima epidemia di colera.
Pare, in particolare, che i contagiati venissero confinati, allora,
proprio nella zona di Baésa (di qui la antica origine del capitello).
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A Baésa (2), dove nel 1976 l'Amministrazione del Parco
Naturale Adamello-Brenta ha compiuto una prima serie di interventi per
il restauro paesaggistico della zona, sono ancora evidenti gli imponenti
depositi del materiale scavato in zona per la realizzazione della
galleria che convoglia l'acqua del fiume Sarca da Carisolo (presso
Pinzolo) al lago di Molveno, ora trasformato in bacino della potente
centrale idroelettrica di S. Massenza (vicino a Castel Toblino).
2)
Dove termina la carrozzabile è stato ricavato un ampio parcheggio. Qui
trovasi un caratteristico ristorante-bar denominato "Dolomiti di
Brenta": vi si possono gustare alcuni piatti tipici della cucina
trentina.
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La galleria ha una lunghezza complessiva di circa 47 km.
Realizzata dalla SISM S.p.A. (Società Idroelettrica Sarca Molveno)
negli anni sino al 1953, convoglia le acque del fiu-me Sarca nel lago di
Molveno, utilizzato come bacino regolatore per la centrale idroelettrica
di S. Massenza. Di qui il fenomeno dell'abbassamento del livello del
lago durante i mesi invernali. La centrale di S. Massenza, che è tra le
più potenti centrali idroelettriche di Italia, ha una potenza
installata di 365 MWA. A Baésa viene captata e convogliata in galleria
anche l'acqua del torrente Ambiéz.
Da Baésa si sale al ponte delle Scale (pont de le
Scale), portandosi quindi sul lato sinistro (salendo) della valle.
Il toponimo ricorda e raffigura le balze rocciose sulla
sinistra della valle (dove ora sale la mulattiera), che danno appunto
l'idea di una scala. Un tempo la mulattiera saliva sulla destra della
valle sino all'altezza di malga Laón dove attraversava il torrente.
Risulta che anticamente il ponte fosse denominato "pont dei poiàti".
Ciò perché nella zona era in uso produrre il carbone di legna. La
tecnica era quella di formare delle cataste di legna a forma di cono
allargato, ricoperte di zolle terrose con sfiati laterali ed alla
cuspide del cono. Le cataste venivano quindi incendiate avendo cura
particolare che la combustione fosse molto lenta, senza cioè bruciare
la legna che invece veniva piano piano carbonizzata. Le cataste così
formate ed utilizzate erano chiamate, con espressione dialettale, "poiàti"
o "poiatéi".
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Dopo breve tratto la mulattiera prosegue quasi
pianeggiante. Riprende quindi a salire, attraversando un bel faggeto, in
prossimità del dos delle Casine (dos de le Casine) da dove, sulla
destra, si stacca il sentiero che conduce alla vicina malga Laón (m.
1112).
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Toponimo di origine incerta. Potrebbe derivare da "lavòn"
= lavina, atteso che la zona è periodicamente battuta da lavine e
valanghe. Attenzione merita peraltro l'espressione celtica "aén"
- "awón" - "aón" con il significato di zona
pascoliva, pianeggiante in riva a torrente o fiume (riviera). La malga,
che da qualche anno non è più monticata, è stata recentemente
ricostruita sulla sinistra del torrente. La vecchia malga, che sorgeva
sulla destra, è oggi in completa rovina.
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La mulattiera sale ora più decisamente sino a giungere
al ponte di Broca (pont de Broca - m. 1304) - ore 1,30 da Baésa.
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Il toponimo dovrebbe derivare dalla radice "bréch"
- "brék" (più frequente) o "bróc" (meno frequente
e più antica) con il significato di frattura, rottura, incisione.
Ricordiamo che il ponte è appunto gettato su una profonda forra. Appena
attraversato il ponte, subito sulla destra, si diparte un sentierino che
conduce ad una vicina, piccola, fresca sorgente d'acqua leggermente
ferruginosa. Poco a valle del ponte - in ambiente molto suggestivo - il
rio Ambiéz disegna una bella cascata.
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Dopo il ponte, la mulattiera si inoltra in una
pittoresca e caratteristica forra rocciosa. Percorsa la forra e lasciato
sulla sinistra il sentiero che conduce alla malga Senaso di Sotto (3) si
giunge in breve al ponte di Paride (pont de Paride) dove, sulla destra,
si diparte il sentiero che conduce a malga Ben.
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Sconosciuta l'origine di questo toponimo. Ricordiamo che
un tempo lo stesso ponte era denominato "pont al pissadór de
Dalùn", probabilmente perché sulla destra, in alto, precipita una
cascatella che raccoglie l'acqua della sovrastante vai di Dalùn (cascatella
solitamente molto povera d'acqua). "Pissadór" è appunto
termine dialettale che serve ad indicare un modesto rivo d'acqua a
cascata. Nell'inverno 1976/77 una potentissima valanga si è staccata
dagli alti pendii del Corno di Senaso, a quota 2300 circa, scaricandosi
a valle del ponte di Paride dove per circa 300 metri lungo il torrente
si può ancor oggi osservare un imponente ammasso di alberi sradicati,
spezzati, persino frantumati. Per ricordare una valanga altrettanto
potente, occorre risalire al tremendo inverno del 1916 quando fortissime
nevicate causarono lo stacco di valanghe colossali con conseguenti gravi
danni alle cose e numerose vittime tra le persone.
3) Poco prima di giungere al ponte di Paride, si notano
sulla destra della mulattiera i ruderi di un forno per la produzione
della calce (chiamato localmente "calcherà"). Il forno
risulta essere stato realizzato negli anni della prima guerra mondiale
da un gruppo di prigionieri russi comandati a sistemare la mulattiera
della valle. Nell'occasione gli stessi prigionieri avevano iniziato la
costruzione della nuova malga Prato di Sotto ed ancora oggi,
immediatamente a valle del rif. al Cacciatore, si nota un vasto
terrapieno che doveva ospitare il fabbricato della malga. Con la fine
della guerra il programma fu abbandonato e la nuova malga Prato di
Sotto venne collocata al margine inferiore del pascolo.
Salendo ora sul lato sinistro della valle, dopo una
brusca svolta sempre a sinistra, si esce sul terrazzo prativo di malga
Prato di Sotto. Subito sulla destra sono ancora ben visibili i ruderi
della vecchia malga (m. 1689) mentre la nuova malga è visibile più
avanti, sulla sinistra, leggermente in basso (m. 1640). Poco sopra dalla
mulattiera si stacca, sulla sinistra, il sentiero che conduce a malga
Senaso di Sotto. Dai pascoli di malga Prato in breve al rif. al
Cacciatore (m. 1819) - ore 1 dal ponte di Broca
Sino all'inizio dei
pascoli di Prato la valle è piuttosto incassata, stretta e
profondamente scavata: incisa su ambo i fianchi da profondi, ripidi
canali, lungo i quali si scaricano durante l'inverno imponenti valanghe;
non offre vedute apprezzabili. Dai pascoli di malga Prato, quasi
all'improvviso, si apre, diventa vasta ed affascinante, offrendo un
panorama davvero indimenticabile su cime imponenti, vertiginose pareti,
creste frastagliate, vedrette innevate.
Dal rif. al Cacciatore la salita
al rif. Agostini può effettuarsi lungo due itinerari diversi.
Il primo
di questi itinerari, seguito dai mezzi fuoristrada, porta prima alla
nuova malga Prato di Sopra (m. 1887), attraversa quindi il pascolo
soprastante la malga (denominato "busa dei malgani") (4)
supera un salto roccioso incidendo trasversalmente un ripido ghiaione
(all'inizio della salita si diparte, sulla destra, il ripido sentiero
che conduce direttamente alla Forcolotta di Noghéra). Con ampie
serpentine vince quindi l'imponente ghiaione che scende dalla vedretta
d'Ambiéz, raggiungendo il rif. S. Agostini - ore 1,30 dal rif. al
Cacciatore (5).
(4) Nella tradizionale organizzazione delle malghe,
"malgari" erano chiamate le persone che direttamente
accudivano al bestiame, mentre "malgani" erano chiamati i
rappresentanti dei proprietari delle bestie, elettivamente scelti tra i
proprietari stessi, con il compito specifico di sovraintendere alla
gestione della malga, curando -in particolare- le c.d.
"pesate" del latte prodotto da ciascuna bestia al fine di
attribuire poi ai proprietari la quota di spettanza di burro, formaggio
ed altri derivati del latte.
(5) Questa mulattiera, percorribile dai
mezzi fuori-strada, è stata realizzata tra il 1967 e il 1968 dalla Soc.
Coop. Rif. S. Agostini in Val d'Ambiéz per iniziativa dell'allora
presidente Matteo Armani.
Il secondo itinerario è denominato sentiero A. Dallago.
Il sentiero, inaugurato il 28.6.1943, è stato
realizzato dagli amici di Trento di Adriano Dallago, accademico del CAI,
medaglia di argento al valor civile per salvataggi in montagna, caduto
-colpito da un fulmine- nell'agosto del 1938 sulla parete sud della
Marmolada.
Superato il salto roccioso sovrastante, sulla sinistra,
il rif. al Cacciatore (la c.d. "scala delle vacche"), si
attraversa un folto bosco di pini mughi (la c.d. "mughéra")
dove il sentiero compie alcune ripide serpentine. Si sale quindi più
dolcemente attraversando vasti terrazzi un tempo rocciosi ed ora sempre
più ricoperti da vegetazione. Raggiunto l'imponente ghiaione che scende
dalla vedretta d'Ambiéz, il sentiero si sviluppa con numerose, strette
serpentine sino a raggiungere il rif. S. Agostini - ore 1,30 dal rif. al
Cacciatore.
Dal rifugio S. Agostini a San Lorenzo in Banale
attraverso i masi di Déngolo.
Itinerario pressoché sconosciuto ai frequentatori della
Val d'Ambiéz. Si consiglia di percorrerlo perché la visita ai masi di
Déngolo (6) offre una stimolante testimonianza dell'antica e
tradizionale economia di vita delle popolazioni giudicariesi. Il
sentiero non presenta difficoltà di sorta. Tempo medio di percorrenza:
ore 3,30 dal rif. Agostini; ore 2,30 dal rif. al Cacciatore.
6)
Incerta l'origine di questo toponimo. Risulta che un
tempo la località fosse denominata "Dénglo" (e non
Déngolo): di qui la possibilità di derivazione del nome personale
celtico "Eglo", dove Dénglo potrebbe significare
"possesso di Eglo". Da notarsi che ai piedi della forcella
Bregain, appena sopra la malga di Dorsino, vi è un'altra località
denominata Eglo. La sezione SAT di San Lorenzo in Banale ha in programma
la segnatura in rosso di questo sentiero a brevissima scadenza.
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D. Ongari: "Storia dell'esplorazione dell'Adamello e Presa-nella in
"La SAT cento anni (1872 - 1972)": "….. Tre furono gli
elementi costitutivi dell'economia delle valli giudicariesi: la
coltivazione dei campi, il podere di mezzomonte e l'alpeggio. Nel ciclo
produttivo i seminativi di fondovalle avevano funzione complementare a
confronto del prato permanente, del podere di mezzacosta e
dell'alpeggio. Il podere di mezzacosta, situato per lo più ad una
altitudine di poco superiore ai 1000 metri, era ottenuto di solito col
disboscamento della selva allo scopo di integrare il fieno di fondovalle
con quello di monte, ove soggiornava il bestiame durante la primavera e
l'autunno (si precisa che Déngolo ospitava un tempo dai 120 ai 180 capi
adulti n.d.a.)…..
Il rustico principale era la c.d. "casa da
mónt" composta da un seminterrato in muratura per uso stalla cui
era sovrapposta la struttura in legno del fienile e nella quale
pernottava anche il proprietario... Nell'insieme il podere di mezzacosta
rappresentava un'economia intensiva a conduzione familiare, ripartita
spesso tra più famiglie. A conduzione collettiva era invece l'economia
estensiva dell'alpeggio estivo. La malga era la base dell'alpeggio con
altitudine media oltre i 1500 metri. Dalla malga si irradiavano le c.d.
"poste o mute" che erano dei pascoli marginali ove sostava la
mandria per qualche settimana. L'ultima erba oltre i 2000 metri era
riservata ai greggi di pecore...".
Dal rif. Agostini scendere al rif. al Cacciatore lungo
il sentiero Dallago o lungo la mulattiera percorsa dai mezzi
fuori-strada - ore 1. Seguire ancora la mulattiera che porta a San
Lorenzo sino ai pascoli di malga Prato di Sotto. Dove la mulattiera
svolta bruscamente a sinistra, imboccare -proprio sul tornante- il
sentiero che conduce a malga Senaso di Sotto (m. 1581). Appena
oltrepassata la malga, il sentiero sale verso le pendici della Crona (o
Dos Alto). Si attraversa, sempre in leggera salita, un profondo canale
roccioso (detto "Tovac": molto spesso, anche in stagione
avanzata, ostruito da neve ghiacciata), sino a giungere al margine
superiore di una radura erbosa. Qui le tracce di sentiero si perdono.
Scendere al limite inferiore della radura sino a ritrovare, sulla
destra, il sentiero che si inoltra nel bosco. Prima di entrare nel bosco
merita spaziare con lo sguardo verso l'opposto versante della valle: si
individua così malga Ben con i ripidi pascoli che la circondano;
evidente anche il percorso del sentiero della forcella Bregaín che da
malga Prato di Sopra sale verso la Val di Dalún, scende leggermente
verso malga Ben per poi attraversare le ripide coste della marcata
cresta che dalla cima di Ghez scende verso la forcella Bregaín.
Il sentiero, quasi pianeggiante, attraversa ora la selva
del Bondái (loc. Pian Bondái) e dove termina la selva si incontrano i
primi masi, circondati da vasti prati falciabili (m. 1300 circa - lungo
il sentiero alcune piccole sorgenti).
La selva del Bondái è un bei bosco di abete bianco e
rosso di origine artificiale: l'impianto fu infatti realizzato
dopodiché nel 1885 una potente tromba d'aria aveva distrutto pressoché
totalmente l'antica selva, abbattendo circa 2000 mc. di legname.
L'utilizzo di questo legname fu assegnato, dal comune di San Lorenzo, a
quattro fratelli di Senaso, soprannominati i "zópi",
unitamente al taglio di un grosso lotto di larici secolari sito in loc.
"laresé" (o "larsé") a quota 1700 circa, poco a
valle della malga Prato di Sotto. Per la lavorazione dei tronchi venne
piantata, sulla sinistra (salendo) del torrente Ambiéz, tra il ponte
delle Scale ed il Dos delle Casine, una sega ad acqua (la c.d.
"sega dei zópi") che funzionava per circa 7 mesi all'anno.
Durante l'inverno, quando l'acqua gelava, venivano preparati e
trasportati i tronchi alla sega. Il legname lavorato veniva quindi
venduto a Riva s. Garda con un viaggio che, andata e ritorno, durava 4
giorni. La sega fu attiva per circa 15 anni.
I masi sono oggi in condizioni davvero precarie, alcuni
anzi ormai semidiroccati. Si notano ancora rari tetti in paglia, tipica
forma di copertura delle antiche case del Banale. Oltrepassata la
stazione a monte della moderna teleferica che collega i masi con Baésa,
il sentiero inizia a scendere. Incrociata, sulla destra, la mulattiera
che scende dai masi di Jon e malga Asbelz, la discesa si fa sempre più
ripida sino al ponte di Baésa (m. 789). Questo tratto di sentiero è
piuttosto scomodo e per la pendenza e per le cattive condizioni del
sottofondo -ore 2 dal rif. al Cacciatore. Dal ponte di Baésa a San
Lorenzo: 30 min. circa.
Proprio dalla stazione a monte della teleferica, si può
scendere per il sottostante prato sino al limitar del bosco, all'altezza
dei ruderi di un antico maso. Qui spostarsi verso destra, entrando nel
bosco. Seguire ora una evidente traccia di sentiero che a ripidissime
serpentine vince il salto roccioso che separa il pianoro di Déngolo
dalla Val d'Ambiéz. Superato un tratto piuttosto delicato, dove è
posta in aiuto una scala di legno -peraltro in condizioni molto
precarie- si giunge proprio all'altezza della finestra della galleria
che porta le acque del fiume Sarca al lago di Molveno. Un comodo ponte
permette di attraversare la valle, a poca distanza dal ristorante-bar
"Dolomiti di Brenta" di Baésa. Questo sentiero, davvero
affascinante per l'audacia del percorso, era usualmente battuto dai
valligiani che soggiornavano in Déngolo per raggiungere più
rapidamente San Lorenzo.
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